È un fatto umano che dice tanto del Mediterraneo, dei suoi andirivieni, dei suoi allontanamenti e dei suoi ritrovi, almeno simbolici, con il luogo da cui si proviene. La sua provenienza, plurale, piuttosto che la sua semplice origine, unica.
Mostra al Mucem, novembre 2024-marzo 2025/ Curatori Giulia Fabbiano e Camille Faucourt/Scenografa, Claudine Bertomeu.
La mostra « Revenir. Esperienze del ritorno nel Mediterraneo » attualmente presentata al Mucem è un tentativo pericoloso eppure convincente di raccontare questi legami, indissolubili. Ciò che attrae una vita, che le dà una bussola, un desiderio instancabile di tornare, nonostante tutto. Tanti legami sono stati creati nel tempo, a partire da questo mondo mediterraneo sempre connesso, legato alle avventure umane delle migrazioni e delle diaspore. Esse non dimenticano questo ancoraggio, di fronte alle dispersioni dell’esilio, del viaggio lontano, della perdita che chiama possibili ritrovi, al di là delle assenze e dei dolori, delle fratture e delle separazioni. C’è questo fatto umano che attraversa il tempo e fa nascere questo desiderio, questo bisogno sempre riattivato di « Revenir ».
Sentimento di nostalgia ? Forse, e perché rinnegare o abbandonare questo luogo da cui si proviene e che è vitale poter ritrovare in un momento della propria vita. La nostalgia è ancora ciò che era, un sentimento potente che mette in movimento le donne e gli uomini del Mediterraneo. Troppo spesso, sono stati scossi o tormentati dalla partenza o dalla fuga, per ragioni politiche, economiche o familiari. Partire, come è stato per tanti uomini soli o famiglie ferite, e poter finalmente tornare per ritrovare alcune tracce. Segni di appartenenza, attraverso mausolei o pellegrinaggi che raccontano una storia mai completamente sepolta. Essa affiora e riemerge non appena si pone questa semplice domanda : da dove vengo ? Gli esseri umani hanno bisogno di genealogie, di storie che permettano di situarsi nel vasto mondo, di avere una possibilità di ritrovarsi, da qualche parte, e non più di vagare, da nessuna parte.
Il tempo della globalizzazione ha creato tante erranze e smarrimenti, così tanti fluttuamenti che chiamano a un ritorno, a un possibile tornare, sempre aperto e mai veramente compiuto, appagato, perché la perdita rimane viva, la mancanza non è mai veramente colmata, e rimane un’apertura che non si richiude, non cicatrizza. Resta il balsamo della nostalgia, lega del ritorno e del dolore, nostos e algos, venuti dalla lingua greca, che la filosofa Barbara Cassin ha raccontato così bene in uno dei suoi libri più personali - « La nostalgia[1] » - così giustamente sottotitolato con questa semplice domanda : « Quando dunque si è a casa ? »
Questa domanda attraversa in fondo tutta questa esposizione che si sviluppa in vari luoghi sensibili del mondo mediterraneo. Storie forti vengono così raccontate a partire da una « mostra documenti », fatta di archivi significativi, di documenti personali, di racconti e testimonianze, di alcune opere importanti di artisti. È tutto un viaggio che appare così lungo il percorso, ben pensato e ampiamente documentato, di luogo in luogo, come tanti tratti di unione, là dove vivono così tante disunioni o disillusioni. È vero che la mostra ha beneficiato di tutto un lavoro di ricerca, a monte, di indagini raccolte, che non sono state realizzate in modo classico, come fanno troppo spesso i musei.

Si tratta di indagini sul campo che hanno dato luogo a vere partecipazioni e spesso a prestiti di documenti, archivi o oggetti, molto più che acquisizioni. Il Museo diventa così un luogo di memoria dove risorse transitano e ritornano a coloro che le possiedono. Un luogo segreto, fatto di « condivisione del sensibile », che ha davvero luogo d’essere e che crea una zona di contatto tra osservatori e osservati. Cinque indagini-raccolte sono state così realizzate per portare a termine questa mostra che, nella sua metodologia come nella sua impostazione, è esemplare. È così una mostra che permette di raccontare la storia degli altri, dall’interno, dove appaiono come realmente parte integrante della loro storia del « revenir ».
Il Museo come questa mostra svolgono così il ruolo di trasmettitore di memorie, di un tra-due vivente, parlante e esponendo un mondo in comune, perché come diceva così bene Giono : « questo mare non separa, unisce ».
C’è così tutto un slancio, umano, che ci sostiene, ci fa avanzare nel percorso della mostra, a volte un po’ complesso o troppo denso in uno spazio troppo limitato, che avrebbe meritato di essere molto più grande per un tale argomento, che è al cuore stesso di ciò che dovrebbe essere il progetto del Mucem, Museo delle civiltà d’Europa e del Mediterraneo.
Questo viaggio si apre su due opere emblematiche, un rilievo antico, romano del Ier secolo, che racconta « il riconoscimento di Ulisse da parte della sua nutrice Euryclée » e da un dipinto su vetro proveniente dalla Siria degli anni 1950, che evoca l’incontro di « Baybars e Ma’arouf », all’incontro delle due rive del Mediterraneo, e non più secondo uno sguardo verticale o unilaterale che parla solo di un lato. Il viaggio ci porta in particolare verso un viaggio di famiglia in Libano, dalle sfumature sensibili, si protrae verso l’Algeria e la Tunisia, attraverso in particolare oggetti quotidiani, così caratteristici delle relazioni al « bled », questo paese desiderato e tanto temuto, si continua verso l’isola di Procida, al largo di Napoli, dove seguiamo le peregrinazioni di una statua di San Michele, fino a Mers el Kébir e La Ciotat, poi il « revenir » prosegue fino a Rodi, dove diaspore ebraiche di tutto il mondo tornano in pellegrinaggio, alla ricerca dei loro antenati.
La questione del ritorno si pone con una particolare intensità e acutezza per i palestinesi, che non hanno il diritto o la possibilità di « revenir ». Documenti e disegni, di Benji Boyadjian, del campo profughi di Aïda, danno un volto a queste ferite e a queste assenze, mentre l’opera dell’artista contemporaneo Taysir Batniji, composta da un mazzo di chiavi in vetro, evoca tutta la fragilità di questo mondo diventato inaccessibile per coloro che sono partiti e che non hanno alcuna possibilità, oggi, di poter « revenir ».
Questa mostra associa, sotto una forma originale, documenti, archivi, oggetti quotidiani e opere contemporanee, spesso significative, come quella di Sofiane Zouggar. Esse fanno immagine e plasmano un immaginario di tutti questi andirivieni. Queste opere non sono lì per semplicemente illustrare una parola, vana, o un discorso, superfluo. Creano il loro territorio e instaurano ciò che si potrebbe chiamare, un avvento.
La mostra è stata concepita dalla storica e antropologa, Giulia Fabbiano, e dalla curatrice del Mucem, Camille Faucourt, con una scenografia abile e giudiziosa di Claudine Bertomeu, tenendo conto delle numerose restrizioni di spazio e di un budget che sembra ristretto, per un argomento così consistente dedicato alle migrazioni e alle mobilità nel Mediterraneo.
Ma poco importa queste limitazioni, queste restrizioni o queste mancanze, con questa mostra presentata al Fort St Jean, ecco un’ottima occasione per venire e… tornare » al Mucem !
Da notare un ottimo libro-catalogo, pubblicato dalle edizioni Anamosa, 142p, 28 euro.
[1] Barbara Cassin, La Nostalgie, Editions Autrement, 2013, 152 p

Foto di copertura: Taysir Batniji, Senza titolo, 2007-2014 - Mazzo di chiavi in vetro, scala 1/1. Galleria Sfeir-Semler © Taysir Batniji