E se l’uguaglianza dei diritti passasse prima di tutto per la possibilità di circolare, lavorare, curarsi, essere accompagnati? Attraverso l’Europa mediterranea, iniziative inventano nuovi percorsi per vivere insieme. Il loro punto in comune: rendere la società più praticabile, nel senso letterale e figurato, per coloro che ne sono troppo spesso esclusi. Esse pongono le pietre di una solidarietà concreta, attiva, radicata nei bisogni reali.
Questo articolo, su vivere insieme è un riassunto di 3 articoli pubblicati in 22-med, da ritrovare nelle 11 lingue utilizzate sul sito.
Il lavoro come opportunità : storia dell’integrazione delle persone con disabilità : Rajmonda Basha- Albania
Autisti volontari per le persone anziane senza auto : Larisa Daugul- Slovenia
El Amel vuole rendere Algeri più compatibile con la disabilità : Tarik Hafid - Algeria
Lontano dai grandi discorsi, dalle grandi teorie, a volte è un semplice tragitto, una rampa posata su un marciapiede, un contratto di lavoro che cambia tutto. Dove i diritti fondamentali sono messi a repentaglio da barriere fisiche, sociali o simboliche, alcune strutture associative, civiche o istituzionali si impegnano a ridurre i divari. Vivere insieme, è anche questo: rendere le regole del gioco più eque, e gli ambienti più umani.
Una solidarietà che si costruisce dal basso
In molti casi, la risposta non viene dall’alto. O non solo. All’origine di molti progetti che ridisegnano la quotidianità delle persone vulnerabili, troviamo cittadini, associazioni o collettivi che partono dal reale, dalla mancanza, dall’angolo morto. È il caso di Marko Zevnik, che, in Slovenia, ha lanciato il progetto Sopotniki dopo aver misurato l’isolamento dei suoi vicini anziani in un villaggio poco servito dai trasporti. Ciò che inizialmente era solo un aiuto informale è diventato un’organizzazione strutturata, mobilitando più di 300 volontari in 19 città del paese.
Oltre ai tragitti, Sopotniki ha disegnato un vero e proprio ecosistema locale, con il coinvolgimento dei comuni, dei ristoratori e dei centri culturali. «Non volevamo creare un centro di chiamata centralizzato, ma essere presenti localmente», spiega Zevnik. Il coordinamento avviene a livello di ciascuna città, con particolare attenzione ai bisogni informali: uscite culturali, appuntamenti amichevoli, momenti di legame. I tragitti diventano spazi di incontro, le auto luoghi di storie condivise. Non è solo un servizio, è un tessuto sociale in movimento.
Quando la città diventa un ostacolo
Ma non tutto avviene in zone rurali remote. Nel cuore stesso delle città, l’invisibilità prende altre forme. Ad Algeri, è lo spazio pubblico a rifiutare, a bloccare, a rendere la vita impossibile alle persone con mobilità ridotta. Carrozzine bloccate, marciapiedi ingombri, bagni inaccessibili: la quotidianità può rapidamente diventare un percorso ad ostacoli, a volte pericoloso, spesso umiliante. «Bisogna capire che l’accessibilità rafforza la dignità», insiste Hazia Rezig, presidente dell’associazione El Amel, che milita da oltre trent’anni per una città accessibile a tutti.
Nel quartiere popolare di Bab el Oued, questa associazione ha ottenuto, non senza difficoltà, l’installazione di rampe e segnaletica adeguata. Un progresso concreto, certo limitato, ma che ha il merito di esistere e di poter diffondersi in altri comuni. Perché l’accessibilità, qui, non è un favore: è un diritto, inscritto nella legge dal 2002 ma raramente applicato. E per far prendere coscienza dell’urgenza, El Amel organizza simulazioni: «Le persone valide che percorrono 500 metri in carrozzina escono con le mani ferite. Ma alcuni ne escono trasformati», racconta Abdelghani Kayouche.
L’associazione agisce anche sul fronte scolastico, allestendo servizi igienici accessibili in tre istituti di Bab el Oued. Un progetto finanziato da attori privati, prova che la mobilitazione può allargarsi oltre il cerchio militante. Anche qui, la sfida è quella di aprire la scuola a tutti, senza condizioni. «Andare in bagno in carrozzina è un atto banale per alcuni, un ostacolo quotidiano per altri», ricorda Rezig. Dettaglio logistico? No: simbolo fondamentale di ciò che permette – o meno – di vivere insieme.
Occupazione e riconoscimento: un leva per l’inclusione
Un altro terreno decisivo per l’uguaglianza reale è quello del lavoro. In Albania, le autorità hanno avviato una svolta con una legge entrata in vigore all’inizio del 2024, che obbliga le aziende a assumere una quota di persone con disabilità. Se non lo fanno, devono contribuire a un fondo pubblico. Dietro a questo incentivo, una constatazione: il tasso di inserimento professionale delle persone con disabilità rimane drammaticamente basso. Nel 2023, erano tre volte più numerosi a cercare lavoro rispetto al 2022.

Il testo legislativo impone alle istituzioni pubbliche e private di seguire una regola di proporzionalità. Ma il successo di questa politica non dipende solo dai numeri. Dipende anche da un cambiamento di mentalità. «Molte aziende non comprendono ancora il valore che questi dipendenti diversi possono apportare», lamenta un operatore del settore. Da qui l’importanza delle partnership con le associazioni specializzate, che accompagnano i candidati e sensibilizzano i datori di lavoro.
Le testimonianze raccolte sul campo mostrano che quando viene data l’opportunità, spesso viene trasformata. Ema, assunta da un’azienda italiana con sede a Tirana, racconta: «Mi sento molto bene, sono rispettata. La mia azienda ha collaborato con l’Associazione dei Tetraplegici per assumere due persone, me compresa». Kelvi, lui, è stato assunto nel servizio sanitario di Fier: «Essere diverso non mi ha impedito di scalare i gradini». Esperienze che ridanno fiducia e dimostrano che l’inclusione è possibile se supportata – giuridicamente, economicamente, umanamente.
Cambiare le norme, non le persone
Ciò che queste iniziative raccontano, ognuna a modo suo, è una stessa volontà di far cadere i muri – a volte invisibili – che separano, isolano, escludono. Il vero progresso sociale non consiste nell’integrare marginalmente pubblici “a parte”, ma nel trasformare le strutture che rendono difficile la loro quotidianità. Che si tratti di contesti rurali o urbani, nell’amministrazione, nei trasporti, nell’istruzione o nel mondo del lavoro, si tratta meno di “fare con la disabilità” che di pensare diversamente i rapporti sociali, i diritti, gli spazi.
Non si tratta di modellare questi esempi o di idealizzarli. Ognuno di essi affronta limiti, resistenze, lentezze. Ma ognuno di essi dimostra che è possibile agire, localmente, a partire da bisogni concreti, e far evolvere la società per capillarità. Non aggiungendo dispositivi ai margini, ma modificando la norma affinché diventi realmente inclusiva.
In sintesi, si delinea una società più praticabile. Non più “facile”, ma più giusta. Una società che rifiuta di considerare alcuni corpi come anomalie, alcune età come pesi, alcune differenze come problemi da gestire. Vivere insieme, non è semplicemente coesistere. È fare in modo che ognuno abbia il proprio posto, senza condizioni né deroghe.

Foto di copertura: Un programma di installazione di pannelli e rampe è stato realizzato nelle arterie principali di Bab el Oued @A.Kayouche