Libano

La visita di Léon XIV fa cadere i muri: cristiani e musulmani uniti

Sotto una pioggia battente, i libanesi sono accorsi in migliaia per accogliere Papa Leone XIV. In un paese martoriato, la sua visita ha provocato una scena rara: cristiani, sunniti, sciiti, drusi e ebrei riuniti sugli stessi marciapiedi, dai vicoli della periferia sud fino alle alture di Annaya. Una parentesi di unità nazionale, fragile, ma reale, che ridona al Libano un respiro che credeva perduto.

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La visita di Leone XIV abbatte i muri: cristiani e musulmani uniti
22-med – dicembre 2025
• La visita del papa Leone XIV provoca in Libano una scena rara di unità tra cristiani, sunniti, sciiti, drusi e ebrei.
• Ad Annaya come a Beirut, la fervente partecipazione popolare rivela una coesistenza fragile ma ben viva.
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La pioggia che incollava i vestiti e bagnava le bandiere non ha fatto indietreggiare i libanesi. Domenica sera come lunedì mattina, erano migliaia cristiani, sunniti, sciiti, drusi, ebrei a radunarsi lungo le strade, sui balconi, davanti ai monasteri o nei pressi dei quartieri più sensibili, per salutare il passaggio di Papa Leone XIV. Non come il capo dei cattolici, ma come un pellegrino venuto a ridare un respiro comune a un paese che fatica a respirare.

Una papamobile che attraversa le frontiere invisibili

Quando il corteo lascia l’aeroporto per raggiungere il palazzo presidenziale di Baabda, è prima di tutto un suono che si impone: i cori di gioia, che risuonano dal centro di Beirut fino alla periferia sud, bastione di Hezbollah, un tragitto che si credeva inconcepibile per un papa solo pochi anni fa.

Con il suono delle sirene, le scorte militari e 21 colpi di cannone, i libanesi sono lì… insieme.

« Sono venuta a dimostrare che il popolo libanese è unito nonostante tutto », afferma Batoul, una giovane sciita della periferia sud di Beirut, in piedi sotto un ombrello sulla strada dell’aeroporto. « Lontano da tutte le divisioni, vogliamo essere uniti e vogliamo che benedica la nostra terra. Spero che la sua visita segni la fine degli orrori nel nostro paese. »

L’immagine forte della giornata rimane quella del convoglio papale che attraversa la periferia sud di Beirut © Télé Liban

Dietro di lei, gli scout del Mehdi (scout sciiti di Hezbollah) sventolano bandiere libanesi e quelle di Hezbollah, aspettando il passaggio della papamobile. I colpi israeliani della settimana precedente non hanno disperso la folla. Né le paure. « Oggi, vogliamo solo la pace », sussurra un uomo di una quarantina d’anni, con barba folta e keffieh nero e bianco.

Annaya: la fede condivisa, oltre le appartenenze

La mattina seguente, è ad Annaya, nel monastero di San Charbel, che si misura questa unità ritrovata. Annaya supera ampiamente la sua identità maronita. Il sito è diventato, nel corso degli anni, uno spazio spirituale realmente trasversale. Famiglie sciite, sunnite, drusi o anche non credenti vengono qui a pregare, accendere una candela, lasciare un ex-voto o ringraziare per una guarigione attribuita all’intercessione di Charbel. La reputazione del santo ha trasformato il monastero in un luogo di fede condivisa.

Qui, croci e veli islamici coesistono naturalmente, senza protocollo né confini simbolici. Annaya è così diventato uno dei rari spazi del paese dove la fervente partecipazione riunisce più di quanto divida. Gli altoparlanti diffondono canti, le campane risuonano, ma soprattutto, si vedono decine di donne velate, uomini sunniti con il rosario, famiglie cristiane che stringono la foto del santo maronita.

« San Charbel è come un padre per me », dice Kawakeb, una sciita originaria di Baalbek. « Credo nei suoi miracoli. E la venuta del papa oggi, nonostante tutto ciò che attraversa il paese, è come una boccata d’aria ».

Il Papa avanza lentamente sulla strada in salita, salutando le folle che lanciano riso, sventolano bandiere del Vaticano o del Libano. « Tutti vanno a Roma per vedere il papa, ma lui è venuto da noi », sussurra Jocelyne Abi Rizk, 60 anni, cristiana del Metn, commossa fino alle lacrime. « È la più grande benedizione. E forse l’ultima chance per il Libano ».

È anche qui che le parole pronunciate in questi giorni assumono un’altra dimensione.

« Ci sono parole di una profondità straordinaria che sono state dette dal Papa e dal capo dello Stato… ma i libanesi stanno iniziando a comprendere queste parole seguendo un habitus mentale del passato, senza comprenderne l’applicabilità. Abbiamo bisogno di una revisione profonda dei nostri comportamenti politici » afferma il professor Antoine Messarra, titolare della Cattedra UNESCO di studi comparati delle religioni, della mediazione e del dialogo all’Università Saint-Joseph di Beirut.

Per le strade: una speranza fragile, ma condivisa

Nel centro città, nella piazza dei Martiri, simbolo della memoria nazionale, i preparativi per l’incontro interreligioso riuniscono già rappresentanti delle 18 comunità religiose del paese. Ma prima degli ufficiali, sono gli anonimi a dare il tono. Charbel Salameh, 44 anni, venuto con i suoi figli, riassume questo sentimento diffuso:

« Dobbiamo unirci. Il papa l’ha capito. I responsabili l’hanno capito. Noi, libanesi, dobbiamo accettarlo. » Parla lentamente, come per convincere se stesso. « È la nostra unica via per sopravvivere. »

Accanto a lui, una donna musulmana gli risponde: « Oggi, non siamo più cristiani o musulmani. Siamo solo libanesi, riuniti per dire che ne abbiamo abbastanza. »

A Beirut, nei caffè di Hamra, nei negozi di Achrafieh o nei vicoli della periferia sud, lo stesso discorso si ripete. La visita del papa, di fronte a un paese devastato da sei anni di collasso economico, un’immigrazione massiccia proveniente da Siria e Palestina e i bombardamenti che riprendono, è vissuta come una parentesi in cui si respira di nuovo insieme.

Papa Leone XIV a Harissa © Télé Liban

Un discorso politico... ma soprattutto umano

Al palazzo di Baabda, Leone XIV incontra Joseph Aoun, presidente cristiano di un paese diventato ampiamente musulmano. Le immagini sono solenni: inni, tappeto rosso, pane e acqua offerti da due bambini in abiti tradizionali, 400 invitati selezionati. Ma sono le parole del papa a colpire: « La pace non è una parola, ma una vocazione. »

Non un discorso geopolitico. Non una condanna. Non un allineamento. Leone XIV insiste sul coraggio di coloro che restano, di coloro che non sono emigrati, di coloro che continuano a credere « che un Libano riconciliato è possibile ».

Il Presidente della Repubblica libanese, Joseph Aoun, gli risponde: « La salvaguardia del Libano, unico modello di coesistenza, è un dovere per l’umanità. »

Una frase che risuona forte in un paese dove non si pubblicano più statistiche confessionali da decenni, tanto il tema è esplosivo.

« Siamo controcorrente rispetto agli sviluppi attuali nel mondo… Abbiamo bisogno di rafforzare la nostra immunità, e soprattutto di ripensare i nostri comportamenti politici. Siamo noi, colpevoli di ciò che è accaduto in Libano. » deplora il Prof. Messarra

Sul campo: la fraternità prima della politica

L’immagine forte della giornata rimane quella del convoglio papale che attraversa la periferia sud di Beirut, solo una settimana dopo un attacco israeliano che ha ucciso il capo militare di Hezbollah. Una scena che sembrava inconcepibile solo pochi mesi fa: la folla sciita che applaude un papa americano, mentre i cristiani sventolano la bandiera libanese al loro fianco. Sui balconi, donne velate filmavano la papamobile; nei vicoli, bambini musulmani agitavano bandiere del Vaticano; sui marciapiedi, sacerdoti maroniti si trovavano vicino a famiglie sciite. Tra Roma e Beirut, i legami non nascono da un protocollo. Vengono da lontano. Molto lontano. E in questo giorno di visita storica, si rivelano più visibili che mai.

« Questo è il Libano. Non quello che vediamo nei notiziari », afferma un giovane del quartiere, con un sorriso sornione.

Una parentesi, ma anche un promemoria

La visita di Leone XIV non fa scomparire i bombardamenti israeliani, la crisi economica, le divisioni politiche, né l’emorragia demografica.

Ma per 48 ore, i libanesi hanno vissuto un’esperienza che ricorda perché questo paese affascina il mondo: questa coesistenza fragile, caotica, ma reale.
« Nessun paese straniero vuole più intervenire direttamente in Libano… Dobbiamo contare ora su noi stessi. Il Libano ha un’opportunità straordinaria di contare finalmente su noi stessi e di fare autocritica » conclude il Prof. Messarra.

Il papa non l’ha detto frontalmente, ma il suo messaggio è chiaro: Il Libano non è condannato. È stanco. E sopravvivrà solo unificato. Nelle strade, oltre gli slogan e la pioggia, i libanesi hanno risposto presente insieme. Come se, per la prima volta da molto tempo, avessero deciso che la fede, la patria e il futuro non appartengono a una sola comunità, ma a tutte.

Il papa celebra la messa con le famiglie delle vittime del porto a Beirut © Télé Liban