Continent méditerranéen

La scuola, luogo di apprendimento E laboratorio di pace

Dal’Italia a Israele e fino all’Albania, lungo tutto il perimetro del Mediterraneo, iniziative educative costruiscono ponti tra i popoli. Che si tratti di offrire un futuro ai rifugiati, di far coesistere ebrei e arabi, o di integrare le minoranze discriminate, questi progetti dimostrano che la scuola può essere molto più di un luogo di sapere: un laboratorio di pace.

Questo articolo, sull’educazione, è un riassunto di 4 articoli pubblicati in 22-med. Possono essere trovati nelle 11 lingue utilizzate sul sito:

https://www.22-med.com/une-ecole-nomade-pour-retisser-les-liens-en-mediterranee/ Di Marie le Marois

https://www.22-med.com/a-neve-shalom-juifs-et-arabes-ont-choisi-de-vivre-ensemble-pour-construire-la-paix/ Caroline Haïat

https://www.22-med.com/comment-une-organisation-revolutionne-la-vie-des-roms-en-albanie/ Rajmonda Basha

https://www.22-med.com/les-couloirs-universitaires-les-refugies-ont-egalement-le-droit-a-leducation/ Jessica Perra

Educare per esistere: rifugiati finalmente all’università

In un mondo in cui oltre 100 milioni di persone sono sfollate forzatamente, solo il 5% dei rifugiati accede all’istruzione superiore. Un dato che traduce un’ingiustizia flagrante, ma che programmi come University Corridors for Refugees (Unicore) cercano di capovolgere. Lanciato nel 2019 sotto l’egida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Unicore consente a studenti rifugiati, laureati di primo ciclo, di ottenere un visto per proseguire un Master in Italia.

Oggi, 40 università italiane partecipano a questo programma. Presso l’Università di Cagliari, Alessandra Carucci, vice-rettrice per l’internazionalizzazione, ne sottolinea l’importanza: « Si tratta di ricostruire il futuro di studenti provenienti da Etiopia, Nigeria o Malawi. Questo grazie a un visto di studio, un alloggio, un computer, un supporto psicologico e un accesso alla formazione ».

Qual è l’obiettivo dell’UNHCR? Portare il tasso di iscrizione dei rifugiati all’istruzione superiore al 15%. Con le borse DAFI – un’iniziativa tedesca a livello globale – le cose stanno avanzando. Nel 2023, 9000 studenti hanno infatti beneficiato di questo supporto in 56 paesi. E per la prima volta, il 43% di loro sono donne. Un progresso lento, ma reale.

Combattere l’esclusione: i Rom d’Albania prendono la parola

Un altro combattimento educativo si svolge in Albania, questa volta dalla parte della comunità rom, a lungo esclusa dal sistema scolastico e dal mercato del lavoro. Per rompere questo circolo di povertà e discriminazione, l’ONG Roma Versitas Albania punta sull’università. E funziona: da 5 studenti rom nel 2014, sono passati a 127 già al primo anno del programma, poi a 257 accompagnati su tutto il territorio.

« Questo successo si basa sulle borse di studio, sul supporto accademico e amministrativo che offriamo », spiega Emiliano Aliu, direttore esecutivo dell’organizzazione. L’accompagnamento non si ferma al diploma: Roma Versitas lavora anche all’inserimento professionale dei laureati e alla loro presenza negli spazi decisionali.

Esempio concreto: Franko Veliu, 24 anni, vittima di discriminazioni scolastiche, oggi direttore esecutivo di Amaro-Drom, un’organizzazione rom storica. « Ciò che mi ha spinto a non arrendermi è la passione per l’utilità dei servizi sociali e la difesa della causa rom », testimonia. Il suo percorso incarna un possibile cambiamento: quello di una generazione rom istruita, impegnata, visibile. Un modello ancora fragile, ma portatore di un effetto valanga nelle comunità.

Laboratorio genitori/figli nella scuola di Neve Shalom

Un’oasi di pace a Neve Shalom

Situato a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme, un villaggio incarna da cinquant’anni un’utopia diventata realtà: Neve Shalom / Wahat as-Salam, letteralmente « Oasi di pace ». Qui, 300 abitanti ebrei e arabi hanno deciso di coesistere volontariamente. Uno stile di vita radicalmente opposto a quello delle città miste come Haifa o Acri, dove la coabitazione è imposta. A Neve Shalom, si vive insieme per scelta, non per necessità.

Questa scelta si traduce fin dalla scuola materna, dove i bambini apprendono l’ebraico e l’arabo fianco a fianco. L’educazione è bilingue, multiculturale e inclusiva. « Conoscono le feste, le tradizioni e i racconti dell’altro, e questo consente loro di navigare con facilità tra i due mondi », spiega Nir Sharon, direttore delle istituzioni scolastiche e abitante del villaggio.

Tuttavia, l’ideale di Neve Shalom è stato messo a dura prova dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Se le tensioni si sono insinuate nella vita quotidiana, gli abitanti hanno scommesso sul dialogo. « Dopo uno shock simile, ognuno ha voglia di rifugiarsi tra i propri. Qui, non abbiamo questo lusso. Dobbiamo confrontarci con l’altro, con le sue paure, con le sue aspettative », riassume Nir. In un paese fratturato, questo villaggio rimane un faro.

The Beit Project: una scuola nomade tra le rive

Altra latitudine, altra iniziativa: The Beit Project. Questo progetto educativo, nato a Barcellona nel 2010, traccia da oltre dieci anni un’odissea urbana e interculturale per collegare i giovani europei e mediterranei attorno a un patrimonio comune. La sua metodologia? Una pedagogia sul campo radicata nella città, il più vicino possibile alle sue cicatrici. Attraverso targhe commemorative, reperti e racconti dimenticati, gli studenti delle scuole medie rivisitano la loro storia collettiva e interrogano le discriminazioni di oggi.

Dopo un’edizione itinerante in barca a vela nel 2022-2023, The Beit Project si è ancorato quest’anno a terra. Tre città simboliche – Marsiglia, Tangeri, Bastia – hanno accolto l’« Scuola Nomade del Vivere Insieme nel Mediterraneo ». Accompagnati da giovani volontari franco-marocchini, 400 studenti delle scuole medie hanno condotto un’indagine storica sulle loro città rispettive. A Bastia, hanno ridato voce a stemmi genovesi o a targhe che onorano i bambini vittime del fascismo. A Marsiglia, hanno raccontato le migrazioni napoletane e la memoria della retata del Vieux-Port. A Tangeri, hanno messo in luce la figura di Fatima Al Fihria, fondatrice della più antica università ancora attiva al mondo.

Alla fine del progetto, presso il Museo di Storia di Marsiglia, gli studenti hanno condiviso i loro lavori. Alcuni hanno detto di aver appreso « molte cose » sulla loro città, altri che il progetto aveva cambiato il loro punto di vista. Un’alunna ha persino confidato: « Spero che questo mondo sarà migliore tra qualche anno. »

Quando le città diventano manuali viventi

Al centro di tutte queste iniziative, un filo rosso comune, una convinzione semplice: per sperare in una società più giusta, bisogna cominciare dalla scuola. Offrire opportunità agli esclusi. Che si tratti di un villaggio israelo-palestinese, di un’università italiana o di un laboratorio itinerante tra Bastia e Tangeri, tutti questi progetti hanno un punto in comune: reinventano la scuola come spazio politico, sociale e profondamente umano.

In un momento in cui i conflitti, le migrazioni e le discriminazioni scavano fratture, queste azioni ricordano che la pace non si decreta – si impara. Attraverso l’incontro. Attraverso la conoscenza dell’altro. E attraverso istituzioni educative audaci, aperte al mondo e alle sue sofferenze.

The Beit Project è un progetto europeo e mediterraneo sul ‘’vivere insieme’’ © DR