Djordje è un vecchio amico, una persona originale e particolare, che ha viaggiato volentieri fuori dai Balcani, in particolare in Canada, dove ha vissuto. Poi, un giorno, si è appassionato alla storia della sua regione, la Krajina, un territorio di confine che ha cercato di scoprire e comprendere. Ecco cosa ci racconta...
Ho comprato il mio primo metal detector nel 2020, mi racconta Djordje, un Vanquish 440 della Minelab, un brand australiano, all'inizio della pandemia da Covid-19. Ero bloccato qui da solo a Karin, senza il diritto di spostarmi per più di dieci chilometri, dovevo pur tenermi occupato. Djordje è originario di Žegar, un villaggio serbo della Croazia ai piedi del Velebit, una catena montuosa lungo la costa del mare Adriatico, dove all'inizio del XVI secolosi erano stabiliti soldati valacchi, slavi o magiari in fuga dalle invasioni ottomane, che si rifiutavano di convertirsi, per mantenere il confine dell'Impero austro-ungarico in cambio di terre ed esenzioni fiscali. È il caso della famiglia di sua madre, nata Komazec, venuta dall'Erzegovina e stabilitasi su questo confine con la Bosnia, in questa regione chiamata Krajina. Una sorta di « confin » militare (kraj significa fine), pensato per difendere l'Impero contro le incursioni degli Akindji, le truppe di cavalleria irregolari dell'Impero Ottomano che si guadagnavano da vivere con le razzie.
Si dice che questa terra sia stata invasa dagli Ottomani, ma non è del tutto esatto. Per la maggior parte del tempo è stata invasa soprattutto dai Bosniaci dall'altra parte della montagna, che avevano scelto di convertirsi all'Islam per rimanere nella loro terra.
È qui, vicino al monastero di Krupa, che ho trovato la mia prima moneta romana. Su una faccia era raffigurato il profilo di Apollo, e sull'altra un carro trainato da quattro cavalli. Quando l'ho avuta in mano, la mia mente ha cominciato a immaginare un cavaliere, lo vedevo come se fossi lì. Dopo, ha continuato a farmi questo effetto: ad ogni oggetto antico, la mia mente si diverte a ricreare momenti del passato, inventa scene.
Fino ai 5 anni, Djordje cresce nel villaggio di Krupa, dai suoi nonni, mentre i suoi genitori finiscono di costruire la casa a Žegar dove andrà poi a scuola con altri serbi della sua età, cosa di cui non è consapevole, essendo cresciuto da buon jugoslavo. Ma nel 1991, a quindici anni, scoppia la guerra e invece di Zara, la città principale della regione, i suoi genitori lo mandano a studiare a Knin, la capitale di quella che sarà fino al 1995 la Repubblica Serba di Krajina, un territorio autonomo che resiste all'esercito croato di Tudjman, ed è lì che scopre le sue origini etniche:
C'era una cerimonia di fine anno e, poiché ero nella sezione teatro della mia scuola, mi è stato dato lo stemma della Serbia da sventolare. All'improvviso tutti hanno iniziato a urlare, fischiare e applaudirmi. Poiché mi sembrava che un tale successo fosse poco meritato, quando sono tornato a casa ho raccontato la scena ai miei genitori e mi hanno spiegato che era perché eravamo serbi che il pubblico aveva apprezzato tanto la mia performance. Allora ho chiesto loro che differenza facesse essere serbi, e per la prima volta si sono presi il tempo di spiegarmi che la nostra religione ortodossa non era proprio come quella dei croati cattolici, che non avevamo nemmeno le stesse origini... Ma io non li ascoltavo più, ero solo molto deluso, avrei voluto che il pubblico mi amasse per quello che sono, non perché ero serbo.
Negli anni successivi, i combattimenti si avvicinano a Žegar, e Djordje scopre che gli abitanti dei villaggi croati che attraversano in auto ora gli urlano insulti mentre passano. I suoi genitori portano lui e sua sorella a finire l'estate del 1991 a Novi Sad, la seconda città più grande della Serbia, dove poi faranno i loro studi, tornando in Krajina solo d'estate e per le vacanze. Sua madre, che è infermiera civile, e suo padre, autista, rimangono per sostenere lo sforzo bellico. Ma nell'estate del 1995 viene avviata l’Oluja akzia, l’Operazione Tempesta di pulizia etnica della regione da parte dell'esercito croato.
Il 4 agosto a mezzanotte un soldato viene a dirci che dobbiamo fuggire. La nostra auto era minuscola, la versione jugoslava Fičo della Fiat 500 italiana, e abbiamo dovuto stipare tutta la nostra vita lì dentro, cioè foto e cibo per affrontare il viaggio di tre giorni per fare 650 chilometri. In totale siamo 250000 a fuggire, e l'80% delle case della nostra città viene bruciato.
Poi resta per qualche anno a Novi Sad, finisce i suoi studi in elettricità, e lascia la Serbia poco prima dei bombardamenti della NATO nella primavera del 1999, legati all'invasione del Kosovo. Trascorre un anno e mezzo in Francia, dove lo conosco, si reinstalla temporaneamente in Croazia a Krupa, in una casa in terra battuta adiacente a quella dei suoi nonni, senza acqua né elettricità. Trova lavoro a Vukovar per una ONG, all'estremo est della Croazia e il cui assedio dal 1991 da parte dell'esercito serbo ha distrutto la città, incontra Catherine e si esilia in Canada. Lavora come elettricista sulle piattaforme petrolifere, tre anni a Calgary, nove anni a Edmonton, a fare soldi al freddo per ricostruire la casa dei suoi genitori.
Dopo sedici anni di questa vita estrema nel Grande Nord, Djordje si trasferisce di nuovo in Croazia e poiché la casa di Žegar è ancora in costruzione, è nella casa di vacanza di Karin che posa le sue poche valigie, un antico luogo di villeggiatura precedentemente interamente serbo, di cui famiglie croate modeste, dopo la pulizia etnica, hanno preso possesso. Ufficialmente oggi il 10% dei suoi abitanti è serbo, 50 elettori su una popolazione di 700 persone.
I miei genitori sono riusciti a negoziare con la famiglia croata che occupava la casa e a recuperarla. Abbiamo avuto fortuna, non era molto ambita. Ora è diventata la mia base quando non lavoro all'estero nei cantieri. Con i vicini, che sono tutti croati, non ci sono problemi, andiamo d'accordo. D'estate affitto la casa su Airbnb e vado a vivere a Žegar con i miei genitori, ora che la casa è stata ricostruita.
Quando ho comprato questo metal detector nel 2020, l'ho fatto senza sapere bene perché. Mi sono ritrovato solo qui e non c'era più nessuno a ricordare. Ora non voglio più vendere ciò che trovo in questo terreno. Mi offrono prezzi alti, ma prima di tutto è illegale, e poi soprattutto è sbagliato, perché attraverso questi antichi artefatti sopravvive un'intera storia che appartiene a tutti noi, che siamo jugoslavi, greci, ottomani. E questa storia è ciò che mi riconcilia con questa terra, che mi permette di sentirmi vivo oggi. Ero stato cacciato, ma sono tornato e ho ripopolato la Krajina di romani, di magiari, di valacchi, ecco come ho ripreso piede, senza capirlo all'inizio, come sono tornato a casa mia.
François Beaune è uno scrittore che attualmente vive a Marsiglia. Ha fatto numerosi viaggi nel Mediterraneo per raccogliere un insieme di « Storie vere », di cui una parte è stata pubblicata in « La luna nel pozzo », (edizioni Verticales, 2013, e Folio Gallimard, nel 2017). A gennaio di quest'anno è stato pubblicato il suo ultimo romanzo « La profondità dell'acqua », con Albin Michel edizioni, con lo pseudonimo comune con l'eroina Jessica Martin.

Foto di copertura: Il fiume Krupa in Krajina © Biljana Jovanovic - Pixabay